Titolo:La banalità del male
Autore: Hannah Arendt
Editore: Feltrinelli
Anno pubblicazione: 1963
Numero pagine: 320
Trama
Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di 15 imputazioni. Aveva commesso, in concorso con altri, crimini contro il popolo ebraico e numerosi crimini di guerra sotto il regime nazista. L'autrice assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il "New Yorker", sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro il caso Eichmann. Il Male che Eichmann incarna appare nella Arendt "banale", e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori sono grigi burocrati.
Recensione
La banalità del male è un saggio storico che racconta la sentenza di Eichmann, un gerarca nazista. Nel corso dell'opera, viene ripercorso il processo che porterà alla pena di morte del generale. Un processo che ha fatto discutere, poiché Eichmann viene rapito in Argentina da degli israeliani e ciò ha inefficiato il valore della sentenza. Eichmann è stato giudicato colpevole da una giuria giusta, oppure in Israele non erano pronti ad ottenere un giudizio neutrale. Arendt cerca di raccontarci il percorso che ha portato Eichmann a diventare un nazista, al processo e infine al giudizio finale. Grazie a questo resoconto emergono anche dettagli della seconda guerra mondiale ed i piani di Hitler per la "soluzione finale".
Un libro destinato agli amanti di storia e a chi vuole approfondire la vita e il processo dei nazisti. A tratti la lettura può sembrare monotona ed è molto complicato comprendere moltissimi dettagli. Non aiutano neanche le parole non tradotte, mi riferisco alle parole tedesche che molto spesso non vengono affiancate da una traduzione. Ma nel complesso è un libro molto intenso, da leggere sicuramente con calma, ma principalmente dedicato agli amanti del genere.
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